IMPROVVISA UTOPIA
                a Roberto Vitali


Suonala ancora
questa vita strappata
agli arrangiamenti della star,
suonala al piano, un po' scordato
nell'osteria sotto i portici, per noi
di fila nel coro gregoriano a vita;
facci sembrare azzurro questo vespro
e incarna l'anima di "lei" che non c'è mai
e facci gli occhi rossi come il crepuscolo
per quanto sembra attuale questa decadenza
che lascerà di noi l'odore "fra le siepi inondate di sole".


EVOLUZIONE

Anima mia rediera,
prodiga da siti vaderetrici,
non ti chiederò conto dell'infibula
pur se dell'animale perfido
ti mostrerai pregna.

Ti sarò solidale,
del tempore o mores mi farò carico
e scannerò l'hot dog più grasso
pronto al ludibrio telematico
che compromette il look,
previa un kodice in chiave
d'intelligenza percepibile
che mi candeggi quale responsabile
per l'abominio reiterato
dall'omologazione
unde mercimonium impellet.

Imputerò l'upgrading
senza la supponenza al meglio
al solo scopo di poter aggiungere
un vaglio forse impercettibile
lungo la doppia elica.


PRETERIZIONE (o parallessi)

Tacimi, come un'invocazione
lenita dall'orgoglio,
il peso del non detto
sarà come un'accusa
alla sopraffazione insita
nell'oggetto invocato.

Disdicimi, come una conferma
di fonte inattendibile,
la prova sarà nell'assenza
dell'imbecillità
di cui il plauso indica
mancanza del suo opposto.

Periscimi, come un'esistenza
ch'è ormai da tempo altrove,
che nel difetto dell'acume
rinnova il vuoto di sé,
e l'appello imbambito
veicola più oltre.


BEN HUR

Giungemmo all'erma ancora
semincoscienti, i "grandi" avevano
dieci anni o poco più,
quanto bastava allora
per trattenergli in fondo agli occhi
i bagliori sinistri
come sui manifesti
d'allerta ai residuati bellici.
Passammo la gira con loro
per prendere velocità
sul rettilineo del Boom,
ben hur sui nostri carriolini,
già operai finiti loro
maestri al nostro apprendistato
ultimi aristocratici
che abbiamo visto cedere
al carcinoma del progresso.
All'ultimo giro di curva
ci guardiamo smarriti,
l'astuzia della redine
il polso fermo sulla frusta,
cercando chi da superare:
in vista del traguardo
ci vince un senso di pietà
per i nostri cavalli.


    Alla resa dei conti

voglio sbarcare a Porto Torres
insieme ai disperati
della rotta notturna di Genova,
con l'odore del caffè di bordo
e quello della calca alla scaletta,
poi disertare il mesto treno
incuneandomi a Stintino.

Voglio deviare dalla suprestrada
dagli svincoli agevoli
che uccidono l'orientamento,
saltare Punta Ala e Castiglione,
seguendo il passo dei briganti
rischiare la Trappola d'Ombrone
che non conosce ponti.

Sarò coi miei compagni scomodi
lungo i boulevards dente di sega,
con le caviglie nel mio fango,
tutto che avrò da darti
sarà in un pugno allora
levato ancora verso il cielo
fuori dall'acqua nera.


TRANSIBERIANA

Io guardo e non vi vedo,
come il paesaggio
dietro un vetro screziato dal sole,
già lontano il contesto
su lungo il sentiero
giù lungo la strada,
lontano comunque.

Amore mio, darei
solo per te la fatica
del basto affardellato
lo sforzo del tendine in discesa.

Vi guardo e non vi vedo più
sono già altrove, nel guizzo
sanguigno dell'occhio di lupo
nell'eco scuro
in fondo all'ululato:

Guardami, amore mio
riflesso nella luna.


MAREMMA

Ogni tanto ci torno
perché sulle soglie
deserte, ascolto
come fossero voci
nel vento che non si capisce
e un canto sommesso
mi pare, interrotto
da un tonfo improvviso,
come un tuono lontano
o un fucile imboscato,
e un battere di legni secchi
che d'un colpo si toccano
e d'acqua il rumore-silenzio
che una foglia tradisce,
e la luce mi piace
che un nero adombra improvviso,
non mi serve lo sguardo,
lontano il mare si afferma
come donna, o forse
qualcos'altro che ho perso
e ancora mi spinge alla Trappola,
e ogni volta mi spegne l'attesa
degli zoccoli... tanti.


                                  Francesco Mandrino

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