Ecologia / Ecology / Ecologie

grafica nell'aria

di Maurizio Poli (1993)

Le opere di Ivano Vitali presentate in questo ipertesto analizzano il periodo compreso tra il 1977 e il 1980.
Un periodo di quattro anni nel quale maturano le memorie visive, della storia dell’arte, delle esperienze e delle sperimentazioni personali. Materiali e desideri trovano una loro mescolanza segreta e un materiale immenso di ricordi trova una sintesi.
Non sappiamo quanto in questo processo alchemico, non legato solo all’esperienza razionale, contino elementi come la tenacia, l’arroganza, le certezze, il galateo dell’artista contemporaneo”.
Ma è certo che in quel momento emerge una propria identità culturale (della terra, del sangue, della storia, della famiglia, dei ricordi) dal grande fuoco dell’immaginazione: la memoria dei fatti, e solo, della propria vita.
E tutto si concretizza con naturalezza e assenza di previsione attraverso la maturazione delle proprie ricerche, che nel caso di Ivano Vitali hanno inizio nei primi anni ‘70 ai corsi di scultura dell’Accademia di Bologna, studi poi terminati nel 1973.
Il periodo compreso tra il 1973 e il 1976 è per Ivano Vitali un periodo di maturazione del linguaggio artistico e delle diverse problematiche legate al concetto del “fare” artistico, tra cui l’ideologizzazione dell’arte comunicata attraverso una politica dell’arte e della sua funzione sociale. Un’arte intesa come strumento di denuncia e nello stesso tempo stilisticamente nuova, capace di superare per proposte e innovazioni l’ambiguo e neorealistico concetto dell’identificazione arte / politica, tipica degli anni ‘50, ancora capace allora di qualche fascino nei suoi epigoni, ma inadeguata per la contemporaneità di quegli anni.

L’illusione era di credere in una dialettica fra stile e contenuto come momento equidistante della loro dicotomia (ambedue sono valorizzate dalla propria guerra).
Tutti hanno sognato e ancora sognano la terapia della complementarietà. Sognamo la fine delle guerre fra razze, di quelle economiche ed ideologiche, purché la tensione che la diversità delle culture crea, si trasformi in identità e rispetto.
Il lavoro di Ivano Vitali, pur facendo parte di quel clima ideologico, non riproduce meccanicamente nella trasposizione estetica, le movenze e i gesti di un gusto politicizzato, ma riconduce la sua ricerca all’identità di un uomo nato nel clima delle campagne del ferrarese (2), dove i gesti sono umili e intimi, le atmosfere immobili e silenziose, gli atti decisi e funzionali, legati alle memorie tramandate che non conoscono declino.
Il legame con la terra e l’ambiente sono elementi fondamentali per Ivano Vitali. Sono presenti nelle formulazioni estetiche di quasi tutti i suoi lavori: non solo nella scelta dei materiali, il legno in particolare ma anche nelle performances, nei gesti e nelle pose dei movimenti lenti e impercettibili resi con bravura attraverso la memoria dell’obbiettivo fotografico e delle sue sequenze.
Gesti che mandano messaggi, che sintetizzano un’operazione di lavoro di cui si conosce il risultato finale, come il contadino che esegue le cure della terra per ottenerne i frutti desiderati.
I lavori realizzati da Vitali in questi anni hanno fondamento nell’idea del rispetto dell’ambiente (nella serie dei “legni”, delle “uova”, dei “sacchetti di carta e sabbia”) oppure nella denuncia di un degrado ambientale (nella serie delle “cartucce”, delle “penne”, dei “sacchetti di plastica”).
Anche se il concetto di partenza è diverso, questi lavori hanno degli elementi comuni: la mimesi con la natura (l’opera si inserisce nell’ambiente come oggetto della natura, benché artificiale, attraverso la sua timidezza); l’artificialità della creazione si concretizza nella naturalità dell’operazione mimetica; l’effetto grafico dell’opera favorisce le diverse intensità della luce e delle gamme di colori sui materiali (legno); l’antimonumentalità dell’opera il cui ricordo è tramandato dall’obbiettivo fotografico; il riciclaggio e l’accumulo dei materiali naturali (legno, patate, penne, uova, sabbia, cartucce, fiori di stagnola, sacchetti di plastica, vetri).

Analizzando le opere, tutti questi elementi acquistano un significato più esplicito. Le installazioni dei legni nell’ambiente (in questo caso effettuate nelle campagne dell’Impruneta ) presentano diverse formulazioni. Prima di tutto i progetti più complessi, quelli che sembrano caratterizzarsi per una maggiore indipendenza nei confronti dell’ambiente: tutti lavori collocati per lo più in spazi aperti, in campi sgombri da vegetazione con sfondi fortemente scenografici. La forte iconicità grafica che questi lavori presentano è dovuta, oltre che all’isolamento dell’immagine (scelta accuratamente premeditata), dalla loro tecnica progettuale. Infatti le installazioni hanno un andamento strutturale non fisso, qualche volta verticale, altre orizzontale con percorsi serpentiformi ed intricati. Il materiale adoperato per creare queste strutture è il legno , per lo più rami raccolti e trovati casualmente o potati, quasi sempre privati dall’artista della corteccia e messi insieme a formare una struttura reticolare o a barriera che ricorda spesso esteticamente le analoghe strutture di filo spinato (senza quell’effetto aggressivo che quest’ultimo suscita nell’osservatore, ma bensì un effetto lirico ed emotivo). Una corda o un filo metallico tiene insieme la matassa di legni (di specie, dimensioni e spessori diversi), elemento che permette la creazione di strutture variabili, adattabile alle diverse situazioni ambientali. La luce del giorno amplificata l’effetto grafico dell’installazione conferendogli una maggiore leggerezza. Quest’ultimo elemento caratterizza una sua variante, perché oltre ad avere una struttura più agile, pali di legno alti e sottili affondati nel terreno, portano alla loro estremità del tessuto di diverso colore (3). L’effetto grafico e luministico si arricchisce di un altro elemento naturale: il vento (4). Un’altra opera creata con il legno come materiale dominante, sono la serie dei “capanni dei cacciatori”. Questi sono dei “rifugi”, luoghi di pericolo e di perfidia dove il cacciatore si nasconde in attesa dell’agguato. Si tratta di un’opera di denuncia contro la caccia. L’uomo sfrutta la Natura per la sua mimesi; ma l’applicazione di lettere sopra la parte esterna dei capanni , scelte appositamente con caratteri tombali e rivestite di carta stagnola (materiale anche usato dai contadini per costruire gli spaventapasseri), li fa subito identificare come luoghi di morte. (3) La serie dei legni in questo periodo, 1979, farà parte di uno spettacolo di teatro sperimentale condotto da Alessandra Borsetti Venier alla Galleria L’Indiano di Firenze nel giugno dal titolo “Il Ka delle Mummie. Spettro perpetuo da cui s’irradia l’eros”. Lo spettacolo è importante per la simbiosi che si instaura tra il corpo degli attori e i “legni” con la conseguente dinamica tra opera e movimento, Elemento sempre presente nell’opera dell’artista. (4) L’uso di elementi naturali quali il vento e l’acqua sono utilizzati dall’artista come fattori generativi di movimento. Spesso l’artista lascia all’elemento naturale la funzione di creazione e di continua modificazione dell’opera, come nel caso della riduzione di volume della serie delle “saponette” sottoposte al ripetuto contatto con l’acqua o al flusso delle onde del mare nel caso della serie dei “tappi” soggetti al movimento perpetuo della Natura.

I mezzi normalmente usati per difendere le colture vengono in questo caso utilizzate dall’artista per difendere gli stessi uccelli. Il concetto di mimesi evidente nella serie dei “capanni” trova una applicazione meno struttiva e quindi più armonica con la natura ( perché l’applicazione sull’elemento naturale è visivamente meno percepibile) nella serie delle uova, “cartucce” e “penne”. Nella prima serie ci troviamo di fronte a gusci di uova, che bucati ad una estremità, vengono inseriti sugli alti steli di un cespuglio. Nella seconda serie i bossoli di cartuccia vengono trasformati in fiori variopinti e applicati alle estremità di rami di piccoli alberi. Nella terza serie le penne di un animale vengono inserite con la punta in una base, costituita da una patata, e sospese come trofei, tramite un filo al ramo di un albero. Ancora una volta in tutti questi lavori si manifestano gli interessi dell’artista nell’evidenziare attraverso l’opera elementi quali la luce, l’assemblaggio grafico delle cose, l’antimonumentalità degli oggetti creati, la mimesi con la natura. Un altro elemento da sottolineare in queste opere è il loro aspetto ludico e provocatorio. Quest’ultimo aspetto viene accentuato nella serie dei “sacchetti di plastica”. Tutte opere che costituiscono nella raccolta di semplici sacchetti di plastica di diverso colore sospesi ad un filo tenuto teso alle estremità da un ancoraggio. I “sacchetti” danno una immagine leggera ed aerea che non contrasta col resto del paesaggio. Ritroviamo in questi lavori, ancora più evidente, l’uso del vento come elemento naturale e parte integrante dell’opera. In questo caso come elemento modificatore della struttura dei sacchi (la gonfiabilità e l’espansione). Abbiamo più volte sottolineato l’aspetto antimonumentale dei lavori di Ivano Vitali perché espliciti sono i riferimenti in questa direzione. Le opere non hanno mai una struttura fissa e definitiva, sono soggetti alle leggi della variazione, sono permutabili in qualcosa di altro grazie al completamento dell’opera con elementi naturali come il vento e la luce. Inoltre le installazioni nel paesaggio sono transitorie, legate al momento, e in questo caso alla vita dell’artista. Queste opere oggi non esistono nella realtà, ma nei pensieri dell’autore, perchè esse fanno parte di una progettazione che prevedeva la creazione non permanente dell’opera. Unico testimone di quel momento creativo è il mezzo fotografico. Ma la fotografia nelle intenzioni dell’artista non ha l’ambizione di sostituirsi all’opera realizzata e offre solo un reportage di questi lavori. La fotografia è dunque per I. Vitali un semplice mezzo che può tramandare la memoria di un evento ( non in forma di arte ), e nello stesso tempo evidenziare gli elementi costitutivi dei suoi progetti. Infatti i fotogrammi sono caratterizzati spesso da inquadrature di particolari che mettono in risalto la struttura interna dell’opera una vita naturale propria; nell’opera la ricreazione degli scenari naturali.

A proposito del rapporto tra arte e natura viene spontaneo citare uno scritto di Henri Focillon apparso in occasione della mostra del 1960 a Palazzo Grassi dal titolo “dalla natura all’arte”: “I maestri dell’Estremo Oriente, per i quali lo spazio è essenzialmente la sede delle metamorfosi e delle migrazioni, e che hanno sempre considerato la materia come il punto d’incontro di numerosi passaggi, hanno amato, fra tutte le materie della natura, quelle che sono se così si può dire, più “intenzionali” e che sembrano elaborate da un’arte oscura; e, dall’altra parte, si sono spesso sforzati, trattando le materie dell’arte, di imprimer loro i caratteri della natura, tanto che, per una singolare inversione, la natura è per essi piena di oggetti d’arte e l’arte è piena di curiosità naturali”. Non è un caso che proprio la Biennale del 1978 (in anni di intenso lavoro per I. Vitali) affronti la medesima tematica chiamando la manifestazione col titolo “Dalla natura all’arte, dall’arte alla natura”. Questo a dimostrare che il percorso di I. Vitali affonda nella ricerca artistica di quegli anni e che caratterizza interessi generali del mondo dell’arte. Un’altra comunanza di interessi con episodi e manifestazioni artistiche che si svolgono alla fine degli anni ‘70, e che interessano la nostra analisi al fine di contestualizzare il lavoro di Ivano Vitali, è l’iniziativa alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna nel giugno del 1977 in occasione della “Settimana internazionale dalla performance”, (La performance oggi, Bologna 1977, La Nuovo Foglio Editrice Macerata) dove la presenza dell’artista è attestata da una fotografia apparsa in catalogo. Nei medesimi anni I. Vitali realizza le sue prime performances, tra le quali ricordiamo quella realizzata all’ingresso dell’Arte Fiera di Bologna nel giugno del 1979 in occasione del 1° Convegni Internazionale degli Artisti. Autonomia critica dell’artista” dal titolo “Ruolo Maschera”(5). Anche di queste performances esistono delle cospicue documentazioni fotografiche, e in questo caso il mezzo fotografico acquista un significato più pregnante: la fotografia documenta e registra un evvenimento che non può essere ripetuto, è essa stessa opera. In quest’ambito Ivano Vitali arricchisce la sua ricerca svolgendo alcuni degli elementi tipici della sua performance - la ricerca dell’identità, la ricerca sul sociale, il corpo - completando quella stagione di creatività compresa tra il 1977 e il 1981. (5) In questa performance l’artista, che ironizza nei confronti del Convegno e dell’organizzazione della manifestazione, senza parlare mima chiedendo la carità e distribuendo “santini di sè” La realizzazione della performance era stata preceduta da una lunga preparazione e ricerca sulle pose e agli atteggiamenti devozionali dell’iconografia religiosa popolare. Nel 1979 l’artista realizza un’altra performance dal titolo “grafica nell'aria” dove un’intera stanza viene trasformata in palcoscenico e luogo del rituale: nei gesti della lacerazione in strisce di pagine di quotidiano.

(1) L’artista frequenta nell’ultimo anno dell’Accademia un corso sperimentale di Storia dell’Arte contemporanea tenuto da Flavio Caroli sulle ultime tendenze dell’arte ( arte povera, concettuale, body art, performance ... ).
(2) Quella parte della campagna ferrarese, Campotto, luogo residuo dell’antica Padusa (oggi parte del “Parco Delta del Po”), una delle zone “umide” più interessanti d’Europa; teatro della Natura dove l’artista ritrova le sue radici e la sensibilità verso quelle tematiche ecologiche che caratterizzano l’intero suo lavoro.
                                                                                                       Maurizio Poli
                                             Prato - ottobre 1993

 

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